giovedì 17 agosto 2017

LA SUA PICCOLA BUDDA

In vista della consegna del Gohonzon, il Responsabile del gruppo che Gloss frequentava a Milano le suggerì di prepararsi una serie di riflessioni su un tema specifico. Tra i tanti che avrebbe avuto a disposizione, sotto il profilo delle sfiGhe da trasformare in sfiDe, Gloss scelse la parola malattia. Non tanto perché gli ultimi anni della sua vita furono costellati da particolari eventi relativi alla propria salute, ma perché sua figlia a cinque mesi di vita, rivelò i sintomi di una malattia neurovegetativa rara e incurabile, non diagnosticabile con test prenatali. La piccola, il cui nome è Sofia in onore degli studi filosofici di Gloss, per qualche tempo rimase intrappolata in sofferenze fisiche e mentali indicibili. Indicibili, in quanto gli stessi neuropsichiatri infantili ammisero la loro impotenza sulle malattie del cervello, questo sconosciuto. La neonata era così tanto sofferente da essere incapace di comunicare il suo dolore se non con pianti continui e tentativi di strapparsi gli abiti dalla pelle.

 

Entro due giorni dal ricovero, l’elettroencefalogramma tornò nella norma, nonostante l’incurabilità della patologia. Tuttavia, ne conseguì un ritardo psicomotorio che soltanto a prezzo di impegni costanti e continui da parte di Gloss prima, del padre poi, si è potuto recuperare. Il ritardo comportamentale si risolse. Quello di natura cognitiva si risolverà. Per tutto il tempo del ricovero, Gloss si tormentò chiedendosi il significato di tanta sofferenza in un esserino così piccolo.

 

Pur essendo scrittrice, non redasse mai la malattia di Sofia. Il che, anche a poco acuti osservatori della psiche umana, parrebbe già emblematico di sofferenza irrisolta. Dovette ammettere che, da cattolica praticante per lungo tempo, cui seguì una ventina d’anni di agnosticismo, le era rimasto appiccicato addosso un sentire di penitenziagite.  Come se la malattia fosse diretta conseguenza di chissà quale peccato originale da espiare. Pur ribellandosi al concetto di “peccato originale”, nel suo cervello si era annidato il dubbio. Non era alla sua portata la comprensione dell’esercizio di tanta cattiveria da parte di un essere a lei superiore, se non come spiegazione e prova della sua non esistenza.


In più, a causa della malattia di Sofia, fu pestata a sangue proprio dall’uomo - suo marito - da cui avrebbe potuto aspettarsi comprensione e sostegno e amore.

 

Tuttavia, nel corso degli anni successivi, si accorgeva della trasformazione che la malattia aveva operato in lei. Lei così anti materna, così irrequieta, non incline alla compassione, trasformò queste tendenze di base in senso materno, in dolcezza, in accettazione, in perseveranza. Volle utilizzare rabbia, delusione, sfortuna, dolore dell’anima derivate dal pestaggio in qualcosa che la portasse in missione per l’Italia a sparare un faro su la violenza sulle donne, odiosi reati sempre attuali.


Con Fede, Pratica, Studio, progredisce avvedendosi di comportamenti oppositivi da parte della figlia ormai in età pre adolescenziale. Le tira calci, pugni, morsi, si butta a terra definendola “mamma cattiva”. La ragazzina ammette con dolore e tristezza di non sapersi controllare. Legge negli occhi dei passanti sconcerto e pena, quando non minacce da chiamate al telefono Azzurro. Ma Gloss non molla perché lei è la sua piccola Budda.

«“Dalla malattia nasce il desiderio di ricercare la Via”. In questo senso, la malattia da causa di sofferenza che determina paura, sconforto, senso di impotenza, diventa mezzo per trasformare il proprio Karma ed ottenere l’Illuminazione.» (“La benefica medicina per tutte le malattie”, Gosho, Nichiren Daishonin)


D: Cosa si può dire a una persona portatrice di handicap o di malattie congenite? Ha commesso azioni terribili nelle sue vite passate ed ora sta scontando il suo Karma?

Per le altre religioni o per chi è ateo si tratta del “caso”, mentre il Buddismo sembra dare un giudizio negativo e sottolineare che la colpa è tutta dell'individuo stesso che ha la malattia; non si aggiunge in questo modo sofferenza alla sofferenza?

R: Come è già stato sottolineato, il Karma è insondabile. Ma soprattutto, le cose possono essere considerate anche da un altro punto di vista,quello di “scegliere deliberatamente il proprio Karma”. Per esempio, una persona con un handicap tale da richiedere un'assistenza continua potrebbe essersi scelta ella stessa un Karma così difficile: in origine, potrebbe aver deciso che la sua missione in questa esistenza sarebbe sarebbe stata di permettere ai suoi familiari ed amici di scoprire il valore di dedicarsi in modo totale ad un altro essere. Di solito, le persone più angosciate e sofferenti in casi del genere sono proprio i familiari, su cui ricade l'onere dell'assistenza. Il Karma della malattia è dunque condiviso anche da loro; di sicuro, questa situazione permette loro di uscire da un certo naturale egoismo che è insito nella vita e di riflettere sui valori della salute e della vita in generale. In questo senso, il portatore di handicap potrebbe essere un generoso bodhisattva e non un “ergastolano” del Karma. Da questa prospettiva si possono aprire nuove visioni sulla malattia (che secondo il Buddismo conduce alla Via) e si può trasformare la sofferenza del soggetto e dei suoi familiari in un'esperienza di grande valore.


Il Buddismo, inoltre, insegna lo spirito di “per il presente e per il futuro”: pur partendo da una posizione personale svantaggiata (un Karma “pesante”), accettando l'onere del proprio Karma e sfidandosi per trasformarlo, possiamo conseguire l'illuminazione e indicare agli altri la strada – piena di speranza – per fare lo stesso. (“Karma, un altro modo per dire missione”, Testi a cura di Esperia).


Gloss si è illuminata: sua figlia le è Budda.


Nessun commento:

Posta un commento