martedì 14 novembre 2017

LA FEDE

Appena approdata nel porto del Buddismo, uno dei primi scandali che Gloss ne ricevette fu quello relativo al significato attribuito alla parola fede. Veniva da una pratica cattolica molto intensa partecipando alle attività di un gruppo di Cammino Neocatecumenale, guidato da sacerdoti e catechisti laici. In quel gruppo contrastava alcune posizioni della chiesa cattolica, tra cui l’accettazione acritica e aprioristica di dogmi ecclesiastici che dovrebbe avvenire, secondo il cattolicesimo, proprio tramite la fede. Gloss manifestò loro i propri dubbi, cercando confronto e dialettica e verità. Ne ricevette in cambio contrasto e ghettizzazione e esclusione. Gloss fu accusata di non avere fede proprio. In poche parole, quel gruppo non accolse il confronto dialogico e la fece sentire in colpa. Se, come sostenuto da quel gruppo cattolico, la “fede” avrebbe dovuto essere un dono divino, Gloss, non avendo quel dono, non riusciva a sentirsi colpevole. Da brava tassonomica, si intestardiva nel dubbio. E veniva pertanto emarginata dalla comunità cattolica, pur frequentandola pervicacemente due volte la settimana.
 
Quando partecipò ad uno dei suoi primi Zadankai buddisti, Gloss aveva in precedenza accumulato un'esperienza molto forte in due campi precipui: quello della devozione a verità e giustizia, e quello della autostima e fiducia per sé e per altre donne maltrattate, grazie alla missione di contrasto con pensieri e parole contro la violenza perpetrata intra-famiglia. Per esperienza diretta e indiretta, Gloss aveva imparato che la donna maltrattata dal proprio partner ha una così bassa autostima da arrivare fino ad auto-colpevolizzarsi (questa parola, colpa, cominciava ad apparire troppe volte per i suoi gusti), ma non aveva ancora avuto esperienza che la fede avesse a che fare con la fiducia. Vi si stava però avvicinando.
 
Il Buddismo le diede la chiave d'interpretazione delle due parole (autostima e fede). Circa la prima, occorreva non fermarsi al solo concetto di autostima, ma andare oltre, accogliendo cioè con compassione buddista anche ciò che di brutto esiste nelle nostre vite, ovvero i nostri difetti. Mentre l'autostima si ferma all'Ego, la compassione buddista accoglie e valorizza anche per la melma che inquina la nostra vita, andando a riscoprire, ad aprire, a illuminare l’infinito potenziale di ciascuno e di ciascuna. Questo infinito potenziale ha un nome: Buddità, ed è possibile richiamarlo con il Daimoku. A gran voce. Circa la seconda, è la fede senza dubbi nel proprio potenziale e in quello altrui, da accudire e sviluppare giorno per giorno. Con il Daimoku.

Era giunto per Gloss il momento di mettere da parte i dubbi e di credere davvero nel proprio potenziale. Determinò di creare valore per sé e per gli altri attraverso talenti e difetti: comunicazione e scrittura, ma anche testardaggine e presunzione. Il fatto di non raggiungere più soddisfazione economica attraverso tanti piccoli lavoretti di valore, d’aiuto per gli altri, ma non in senso economico, in fondo la rincuora: la sua missione d'ora in poi avrebbe dovuto essere proprio lo scrivere. Ricevette una prova concreta che confermava di aver imboccato il giusto percorso. Dopo mesi di avvicinamento nei confronti del figlio di quel Gianni Brera che Gloss studiava da anni, le fissò un appuntamento per chiederle di lavorare assieme ad un progetto editoriale. Progetto che lei guarda caso aveva già in cantiere incentrato sul disarmo interiore, basato sui ricordi della propria madre, ambientato sul Lago Maggiore dove era vissuta, inerente la II Guerra Mondiale. Nell’accettare, Gloss colse un moto di sorpresa nello sguardo diretto e fiero dell'uomo, che affermò di aver trattato abbondantemente il tema in passato. Le spedì cose che disse di aver scritte lui, già ambientate in zona Lago Maggiore, precisamente la Val D’Ossola, teatro delle frequentazioni partigiane del padre; imbastirono i personaggi principali partendo da quelli inventati da Gloss. L’autore le affidò la redazione della Bibbia, ovvero quella parte letteraria di costruzione dei personaggi che costituisce la filigrana degli accadimenti raccontati dal romanzo, cosicché da inventare battute o pensieri coerenti con i rispettivi vissuti. E le affidò pure il contatto con potenziali editori. Leggendo gli scritti abbozzati di quello che Gloss avrebbe di lì a poco scoperto come sedicente scrittore, capì, confrontando gli ambientati durante la II Guerra Mondiale con quelli contemporanei, rilevò che i primi erano di produzione del cotanto padre, mentre i secondi del figlio. Stilisticamente e linguisticamente differenti, con netto vantaggio dei primi. In buona sostanza, Gloss ne dedusse che il figlio aveva affidato a lei il compito di contattare gli editori perché cotanto figlio non lo era. Il suo lavoro personale non era risultato apprezzabile. Alla fine, Gloss rinunciò per senso di giustizia verso sé e verso il suo mentore, Gianni Brera. Essendo in prossimità del centenario della data di nascita del grande padre, il figlio era in procinto di organizzarne le celebrazioni. Gloss gli fece dono di un neologismo coniato per l’occasione: le giannibreriadi. Che rimase inutilizzato perché il figlio sarebbe passato in latenza pochi mesi prima dell’inizio.
Se è vero che “Come membri della Soka Gakkai abbiamo una dedizione pura alla verità e alla giustizia” (D.Ikeda, BS, 184, 61) allora Gloss, nei confronti del sedicente scrittore, ebbe la prova del proprio illimitato potenziale. Fiducia - cioè fede in sé. Ora sa che vincerà.

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